Nella popolazione generale il 17% degli uomini e il 21 % delle donne risulta obeso, mentre il 50 % degli uomini ed il 34 % delle donne sono in sovrappeso; nelle donne in menopausa il 30 % è obeso ed il 34 % è in sovrappeso; colpiti ovviamente anche i bambini che risultano in sovrappeso nel 20.9% ed obesi nel 9,8%.
Particolarmente per i bambini l’obesità è maggiormente diffusa nelle regioni meridionali.
Perché diventiamo obesi? Non solo perché mangiamo tanto e ci muoviamo di meno ma soprattutto perché è aumentata la spinta cosiddetta “obesiogena” legata alla qualità del cibo che mangiamo. Negli ultimi decenni è andata via via riducendosi la biodiversità agraria ed alimentare per fare spazio alla globalizzazione del cibo.
Oggi mangiamo la stessa cosa in Italia e all’altro capo del mondo. Stiamo perdendo la possibilità di utilizzare per es. una verdura che sia caratteristica di una zona geografica, perché la coltivazione intensiva non tiene conto della specificità; possiamo mangiare pomodori in ogni momento dell’anno. Via via si sono ridotte le specie coltivate: nel passato venivano coltivate circa 7000 specie di piante ad uso alimentare, oggi si sono ridotte a 150 e di queste 30 soddisfano il 95% del fabbisogno energetico dell’uomo. Questo significa che la nostra alimentazione si è fortemente impoverita di sostanze, di molecole utili al nostro organismo. Mangiamo poche cose e tanto!! Non siamo noi come organismo ad essere cambiati, i meccanismi di controllo dell’introito e della spesa energetica rimangono gli stessi, è variata la qualità molecolare del cibo introdotto, è variata la appetibilità del cibo, è variata la cultura del cibo. Negli ultimi decenni abbiamo assistito alla seguente equazione: a minore biodiversità agraria corrisponde maggiore diffusione dell’obesità.
Il mercato mondiale spinge per un utilizzo indiscriminato dei carboidrati. Se facciamo una visita immaginaria in un moderno supermercato vedremo corsie intere dominate da derivati del grano in tutte le fogge possibili ed immaginabili. I grani moderni, rispetto ai grani antichi, mostrano una riduzione significativa dei nutrienti ed un arricchimento in gliadine e glutenina che durante la lavorazione della farina si trasformano in glutine. Questa modifica dei grani moderni è messa in relazione con l’aumento della diffusione della celiachia.
Fino ad oggi, abbiamo considerato il nostro organismo come un mero contenitore, nel quale introdurre cibo conteggiato sotto la forma delle calorie. Le calorie hanno assunto il ruolo di regolatore dell’alimentazione; sulle etichette nutrizionali non guardiamo altro che il numero delle calorie; basta che siano poche ed il gioco è fatto, non guardiamo neanche per sbaglio la reale composizione del cibo che stiamo portando alla bocca, non ci interessa sapere quelle “poche” calorie da cosa vengono date, se da carboidrati, se da proteine o da grassi.
Questo nasce dall’equivoco circa il presunto assorbimento delle calorie da parte del nostro organismo: il conteggio delle calorie viene effettuato inserendo la biomassa nella cosiddetta bomba calorimetrica che ci fornisce il dato delle calorie prodotte dalla combustione della biomassa stessa. Un conto è il valore espresso dalla macchina un altro è quello che avviene nel nostro organismo, dove avviene l’assorbimento selettivo delle molecole che compongono la biomassa e non delle calorie!!
Il nostro organismo, dall’assorbimento delle sostanze nutritive, utilizza l’energia chimica che viene sfruttata per ottenere i vari tipi di lavoro necessari per la vita come il lavoro muscolare, elettrico, osmotico.
L’organismo in seguito all’assorbimento delle molecole risponde in maniera differente a seconda dell’uso che deve fare delle suddette molecole, per cui se queste molecole sono carboidrati avremo una risposta, diversa se sono proteine od altro.
Le calorie non intervengono, come si potrebbe facilmente fraintendere, nella produzione del calore corporeo; il calore corporeo viene prodotto nelle cellule adipose brune mediante l’utilizzazione degli acidi grassi saturi nei mitocondri di cui sono ricchi queste cellule specializzate.
Affermare che l’obesità è il frutto di una alimentazione ipercalorica sic et simpliciter è estremamente riduttivo della complessità biochimica che ci caratterizza. L’obesità deve intendersi come una lesione biochimica e della risposta fisiologica al cibo; è una alterazione del fenotipo (cioè della manifestazione esteriore del patrimonio genetico) determinata da un gioco di inibizione e stimolazione del nostro DNA determinato dalle molecole che ingeriamo.
Le molecole che ingeriamo sono responsabili delle risposte positive o negative che il nostro corpo genera; l’impoverimento progressivo del numero delle molecole generato dalla riduzione della biodiversità agraria ed alimentare ci sta danneggiando molto.
Si tratta di cibi di utilizzo quotidiano, nei quali non immaginavamo una ricchezza di elementi così importanti per la nostra salute; immaginarli solo come “datori” di calorie è estremamente riduttivo della loro complessità.
Nella nostra giornata alimentare possiamo tranquillamente introdurre degli spuntini a base di centrifugati di frutta o porzioni di verdure ed ortaggi.
In questo modo ci faremo doppiamente bene, perché oltre all’introduzione di modulatori epigenetici, apporteremo al nostro organismo sostanze con capacità antiossidanti rispettando così la raccomandazione empirica di assumere ogni giorno almeno 5 colori differenti per assicurare un indice ORAC valido.
Il cibo è fondamentalmente uguale per tutti; le differenze si realizzano al momento dell’assorbimento delle molecole. Le calorie non interagiscono con il nostro patrimonio genetico (il DNA); tale interazione si realizza invece con le molecole introdotte con il cibo.La sequenza di geni determina il nostro patrimonio genetico, il GENOTIPO, l’alimentazione e lo stile di vita sono capaci di condizionare il FENOTIPO cioè la manifestazione esteriore del GENOTIPO.
L’epigenetica è lo studio di quei fattori esterni all’organismo che generano un cambiamento nell’espressione dei geni che peraltro è ereditabile ma anche reversibile.
Per esempio: le cellule adipose se adeguatamente stimolate nel loro DNA sono in grado di attivare dei sistemi biologici di controllo dell’accumulo dei trigliceridi che ne consente la riduzione del volume.
Tali sostanze sono dette modulatori epigenetici perché intervengono sul DNA cellulare modificandone la risposta; beninteso, la risposta non la sequenza, non hanno cioè una azione lesiva della natura del DNA.
A questo punto è utile dare la definizione di nutrigenomica: è la nuova scienza che studia come le molecole contenute nel cibo possano determinare attivazione o inibizione di geni del DNA.
I modulatori epigenetici sono in grado di stimolare sistemi biologici di produzione di enzimi protettivi nei confronti del metabolismo glicidico, lipidico e proteico.
Avere una alimentazione carente di modulatori epigenetici condiziona l’efficienza metabolica ed ormonale del nostro organismo esponendoci maggiormente all’obesità e alla sindrome metabolica.
Ecco rappresentata una tabella con l’indicazione dei modulatori epigenetici e dei relativi cibi che li contengono:
Glicemia ed insulina risultano essere i cardini del controllo del peso corporeo e dei problemi dati dal suo aumento. Meglio parlare di picco glicemico ed insulinemico postprandiale; l’entità di questa risposta, variabile in funzione delle condizioni del nostro intestino tenue, è responsabile dell’accumulo di grasso. L’aumento della glicemia postprandiale provoca un corrispondente aumento dell’insulinemia. Le azioni dell’insulina sono molteplici e guidate da un unico intento: l’accumulo ed il risparmio; infatti l’insulina favorisce l’ingresso del glucosio nelle cellule prevalentemente epatiche e ne sfavorisce la liberazione; determina l’accumulo del glucosio in eccesso, trasformando il glucosio in glicerolo e legando quest’ultimo a 3 molecole di acidi grassi forma i famosi trigliceridi, che vengono stivati nel tessuto adiposo. L’aumento a dismisura delle dimensioni degli adipociti conduce ad una condizione di infiammazione silente portatrice di grossi guai all’organismo. Proprio perché deve accumulare, l’insulina inibisce la mobilizzazione dei grassi dai depositi; ha anche un complicato meccanismo di controllo sulla sintesi proteica per cui una assenza di insulina o una condizione di insulino resistenza riducono le capacità della cellula di produrre nuove proteine determinando per esempio una riduzione della formazione di nuove fibre muscolari.
L’insulina non dovrebbe essere molto presente nel nostro organismo; il suo ciclo è presto detto: una prima fase di secrezione si realizza entro 5 min dall’aumento della glicemia ed è l’insulina preformata successivamente dopo 15 min riprende la secrezione che procede per circa due ore per lasciare poi spazio alla fase di eliminazione.
In considerazione di queste brevi premesse risulta molto importante la valutazione di glicemia ed insulinemia a digiuno ma ancor più a due ore da un pasto proprio per vedere che tipo di risposta si genera nell’organismo con l’ingestione di carboidrati. E’ essenziale per il clinico la valutazione dell’indice di HOMA (Homeostasi Model Assesment) che rende conto della condizione di insulino resistenza; i valori normali per l’adulto sono inferiori a 2.5, per il bambino a 3.6.